Onorevoli Colleghi! - In questa particolare epoca storica sono drammaticamente assurte all'attualità della cronaca le questioni energetiche e ambientali. Se da una parte il continuo e sempre più incisivo stravolgimento climatico ha condotto a riconsiderare il costo ambientale di una produzione di energia basata, almeno in Italia, prevalentemente sul petrolio e sul carbone, da molto tempo non più sostenibile, dall'altra la situazione geopolitica ha reso le materie prime più difficilmente reperibili. Considerando queste specifiche fonti energetiche, l'approvvigionamento delle quali diviene ogni giorno più aleatorio, è opportuno ricordare, tra l'altro, che si parla di disponibilità limitate, che si andranno esaurendo con gli anni.
      Il Trattato di Kyoto, sottoscritto dall'Italia e reso esecutivo dalla legge n. 120 del 2002, impegna il nostro Paese a limitare drasticamente le emissioni inquinanti. La direttiva 2003/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 maggio 2003, disciplina la progressiva sostituzione dei combustibili fossili con combustibili rinnovabili. Si parla, così, di un ritorno al nucleare, guardando all'esempio di altri Paesi europei, come la vicina Francia. Dopo i fatti di Scanzano Jonico, tuttavia, dove la cittadinanza si è opposta duramente alla realizzazione, nel proprio comune, di un'area per lo stoccaggio delle scorie nucleari trattate, residuo della passata e breve esperienza nucleare italiana, viene da chiedersi se, effettivamente, l'opinione dei cittadini italiani sia davvero mutata rispetto a quella espressa nei referendum del 1987 sull'abolizione dell'impiego di questo tipo di energia. Il problema, dunque, è coniugare efficacemente produzione, costi e impatto ambientale.
      La dipendenza del nostro Paese in campo energetico, poi, è una grave tara non soltanto per il totale assoggettamento alle esigenze e ai cicli produttivi dei Paesi da cui importiamo elettricità, ma anche un pesante aggravio sulla bilancia commerciale

 

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italiana. L'energia primaria importata, infatti, è superiore all'80 per cento del fabbisogno e anche l'importazione di energia elettrica è superiore al 15 per cento dei 348.956 GWh di consumo interno lordo nell'anno 2004. Considerando l'impatto dell'energia sul prodotto interno lordo, che ne rappresenta tra il 7 per cento e l'8 per cento, il problema energetico non può certo essere considerato come una questione di nicchia. Fatti come il grande black out del 2003, poi, hanno portato il caso all'ordine del giorno, ma ben presto più scottanti materie, che, spesso, a confronto costituiscono oggettivamente futilità, fanno cadere nel vuoto qualsiasi proposta di cambiamento.
      Le fonti di energia rinnovabile su cui punta prevalentemente l'Italia oggigiorno (tralasciando l'importante ausilio di quella idroelettrica che, pur costituendo una percentuale importante della produzione energetica, non può essere espansa indefinitamente, dato l'attuale sfruttamento dei corsi d'acqua e l'impatto sul paesaggio di eventuali nuovi grandi impianti) sono quella solare, geotermica ed eolica, per le quali, però, non si dispone ancora di tecnologie adeguate a garantire il pieno sfruttamento del loro potenziale di sviluppo.

      Molte delle considerazioni svolte precedentemente valgono, inoltre, per il settore dei carburanti per i mezzi di locomozione. Il caro benzina, l'aumento esponenziale del costo del diesel, l'utilizzo limitato di gas e di metano producono problemi diffusi e incidono sul reddito non solo delle famiglie, ma anche delle aziende che operano nel settore dei trasporti o che in genere hanno una elevata necessità di mobilitare merci. Non serve segnalare, nella fattispecie, le difficoltà, riscontrabili nel settore dei trasporti, a coprire i costi elevati, con susseguenti continue richieste di riduzione delle accise.
      Ciò cui mira questo progetto di legge, di conseguenza, è un tentativo di miglioramento della situazione sopra descritta. In questo momento, in particolare, è necessaria una lungimiranza di cui la politica scarse volte si è fatta interprete. Soluzioni definitive al problema energetico non ce ne sono e, probabilmente, non ce ne saranno mai. Tuttavia è importante una riflessione se sia utile o meno seguitare per una via già imboccata e, per la gran parte, percorsa, con gli svantaggi che già conosciamo. La questione è se sia possibile rinvenire risorse, da cui ottenere energia, con il più basso impatto ambientale e al minore costo possibile. Requisito fondamentale deve essere, inoltre, il poterle considerare rinnovabili, in modo che questa iniziativa legislativa non divenga l'ennesimo provvedimento «tampone».
      Orbene, le risorse energetiche con le caratteristiche sopra descritte esistono: sono le biomasse, ossia alcune tipologie di vegetali che si prestano particolarmente per ricavarne combustibili. Prevalentemente possono essere sfruttati in tal senso i cereali, ma vastissime sono le possibilità di riutilizzo di componenti, anche di scarto, di moltissime sostanze di origine vegetale. Produzione agricola, reflui biologici e scarti dell'industria alimentare, forestazioni e ricicli sono tutti possibili riserve di energia attualmente non sfruttata; per così dire, una vera e propria miniera d'oro nascosta.
      Il bioetanolo, per esempio, può essere ottenuto dal mais. Esso costituisce un'ottima alternativa alla benzina ricavata dal petrolio. Il suo utilizzo, come risulta dagli studi scientifici, potrebbe contribuire a ridurre l'effetto serra e i costi legati all'energia, senza dimenticare l'impulso importante che il suo uso potrebbe dare al mondo dell'agricoltura di questo settore.
      Tali combustibili sono meno dannosi per l'ambiente rispetto a quelli tradizionali, in quanto permettono il «pareggio del bilancio» dell'anidride carbonica presente in natura. Con l'utilizzo dei combustibili fossili viene infatti liberata in atmosfera una quantità di carbonio fino a quel momento imprigionata nel sottosuolo, con incremento della concentrazione atmosferica; i biocombustibili, invece, non alterano l'equilibrio, dato che rilasciano nell'atmosfera l'anidride carbonica che già le piante hanno immagazzinato in superficie.
      Per ciò che concerne i costi, essi sono, al momento, più alti di quelli dei combustibili
 

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fossili, ma presentano grandi margini di abbattimento, con il progresso della ricerca. Biogas, bioetanolo, biodiesel, costituiscono una grande possibilità per il futuro, per il rilancio dell'agricoltura in Italia e per rafforzarne l'indotto. Una grande sfida per l'avvenire. Mentre altri Paesi, come il Brasile (ma anche, all'interno dell'Unione europea, la Germania), sono già molto più avanti rispetto al nostro Paese, in questo settore l'Italia è uno dei fanalini di coda, anche se qualcosa si è mosso prevedendo il progressivo inserimento negli oli combustibili di percentuali sempre maggiori di biocombustibili. In realtà, tuttavia, un impegno maggiore, la creazione di una nuova industria di supporto e d'eccellenza, potrebbe essere l'idea per rilanciare l'Italia dal punto di vista economico su scala mondiale.
      Queste sono le ragioni che dovrebbero spingere il Parlamento a farsi carico di accettare una sfida: l'istituzione di un Ministero che si occupi esclusivamente di questo progetto, al fine di renderlo fattivo esempio di quello che lo Stato ancora può fare per lo sviluppo. Specializzare l'Italia in questo settore significherebbe spalancare nuovi mercati per il futuro. Una scommessa che può diventare l'unica via di rilancio per un Paese che, povero di risorse del sottosuolo, potrebbe trovare in una nuova agricoltura e in una nuova industria la sua via per diventare leader in Europa e nel mondo intero.
 

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